#3 - LITTLE BIG FAMILY
- Flâneur
- Apr 22
- 5 min read
Updated: 1 day ago

Manca poco alla fine di Marzo.
Gli alberi che bordano i canali iniziano a tingersi di ogni sfumatura di verde, così come l’infinità di parchi ed oasi urbane, che si riempiono di vita nei rari giorni in cui il sole riesce a farsi strada sulla Venezia del Nord. Le stradine rosse si affollano sempre di più, le vie e le piazze sono animate dai tavolini delle innumerevoli caffetterie e le ringhiere dei ponticelli si colorano dei mille toni dei tulipani che in questo periodo dell’anno sbocciano ad ogni angolo della città.
Salgo in sella che sono quasi le undici di mattina, ancora rincoglionito post turno di notte. Colazione lampo a base di smoothie verdognolo d’ordinanza da Albert Heijn e via verso la zona nord di Amsterdam. Destinazione quartieri popolari, dal barbiere siriano di fiducia per un esclusivo taglio da 16 euro. Dopo solamente un’ora e mezza di attesa accompagnata dalla Jumu’ah, la preghiera islamica del venerdì, trasmessa in diretta direttamente da Medina e riprodotta su una sorprendente quantità di schermi disseminati ad ogni angolo del barbershop, finalmente è il mio turno. Giusto in tempo per il pranzo di rito con la Little Big Family.
Così l’abbiamo soprannominata, la nostra piccola grande famiglia di espatriati senza alcuna idea di futuro ma con ardente brama di vita.
C’è G, il cuoco siciliano, anima delle feste, con un rapporto di amore e odio verso qualsiasi sostanza psicoattiva. C, ex studentessa andalusa in cerca di ispirazione, fanatica di piercing e musica latina, aiuto cuoco di G, che sta assimilando più siciliano scurrile che inglese. A, dolcissima ragazza francese dai capelli rossi e la pelle bianchissima, in reception per un internship con l’università ma già in crisi perchè non vorrebbe più andarsene. I, emiliano, appassionato di trading e finanza, ma ancor più di parmigiano, soprannominato per l’appunto ‘comedor de queso’, staffettista di ostelli mentre lavora in un negozio di souvenir sul Damrak, la via principale della città che dalla stazione porta in centro. B, italo-svizzera molto alternative, dagli occhi profondissimi, timida appassionata di rave e poesia, anche lei in reception, in tirocinio per una scuola turistica, e traumatizzata dal tempo atmosferico nord europeo dopo sei mesi di vita a Gran Canaria. V, viaggiatrice modenese dal sorriso mozzafiato, appassionata di spiritualità, approdata in Olanda dopo due anni di vita in Guatemala ed una relazione finita male. Ed infine c’è N, la ragazza vicentina, receptionist neoassunta e psicologa della family a tempo perso, che come un collante industriale tiene tutti uniti e porta luce anche nei momenti più bui. M invece, la cinese-spagnola avventuriera che avevo conosciuto nella cucina comune, con la quale ho avuto il piacere di trascorrere alcuni momenti speciali, ha lasciato lavoro e città per un tour de force di sei o sette paesi europei, prima di tornare in Spagna per proseguire gli studi. Oh… e c’è anche J, il filippino-siciliano, che dopo sole due settimane è tornato da Barcelona in preda ad un attacco di nostalgia. Di R invece, non si hanno più notizie.
La nostra vita si svolge quasi esclusivamente nell’ostello. È la nostra casa, il nostro lavoro, la nostra movida. Siamo vicini di casa, le nostre camere staff sono tutte sullo stesso piano, il nostro quartiere, nel seminterrato, dietro al bar.
Condivido la mia casa-stanza con G, con il bartender ucraino, che però viene solo il fine settimana, il resto del tempo vive con la sua famiglia in un paesino vicino al confine tedesco, e con un ragazzo brasiliano appena arrivato in Europa, che lavora come volontario in cambio di vitto e alloggio in attesa che gli vengano rilasciati i documenti per poter iniziare a lavorare in regola. Uno sgabuzzino di qualche metro quadro, abbastanza puzzolente, con lo specchio dipinto da G in stile street art, bacchette d’incenso sparse qua e là, bicchieri vuoti (e non) su ogni superficie, e vestiti. Vestiti ovunque. Due letti a castello, una doccia e un bagno alquanto claustrofobici, senza alcuna finestra.
Sembra di essere in un film, di quelli ambientati nei college americani. Non desidero nient’altro.
Le nostre giornate, la maggior parte grigie e piovose, si svolgono lentamente.
Mangiamo sempre insieme. Cuciniamo a turno, specialmente noi italiani. Il pomeriggio c’è chi lavora, chi dorme, chi legge, e chi invece come me, cazzeggia con i viaggiatori.
Il bello di vivere in un ostello dalle dimensioni astronomiche è che c’è sempre qualcuno di interessante da incontrare. Ovunque ti giri, sei circondato da persone provenienti da ogni angolo del mondo: dall’Australia all’Alaska, dal Cile alla Mongolia. La maggior parte sono viaggiatori solitari, con il cuore aperto e uno zaino in spalla, spesso pieno di storie da raccontare. E ogni chiacchierata può trasformarsi in un piccolo viaggio dentro un altro mondo.
Un giorno, mentre parlo con A durante un turno di lavoro, bevendo l’ennesimo caffè americano gentilmente offerto dalla casa, si avvicina un ragazzo inglese che cammina in modo strano e con un braccio bloccato dietro la schiena da una specie di tutore. Ha vent'anni e racconta che un paio d'anni prima, in Australia, durante una sorta di safari, è saltato giù dal fuoristrada per fotografare un gruppo di canguri. Poco dopo, i canguri, incazzatissimi, gli sono saltati addosso e lo hanno pestato. Ha perso tutta la mobilità di un braccio e, invece di piangersi addosso, ha pensato bene di diventare campione nazionale di tiro al piattello. A breve sarebbe partito per le paralimpiadi.
Nelle rare giornate di sole, invece, si sta fuori. In qualche parco a godersi un po’ d’aria fresca e vitamina D, tra l’aroma di caffè e l’odore di sigarette farcite che profumano l’aria più dei tulipani, a cercare qualche occasione tra le bancarelle di Waterlooplein, il quartiere dove il vintage regna sovrano o semplicemente a perdersi per i vicoli di Jordaan, con la città che sembra sussurrare storie dimenticate tra i mattoni delle case e il rumore delle bici, che va e viene come un pensiero lontano.
Le ore che preferisco però sono quelle dopo il calar del sole. Quando la città cambia d’abito e l’aria si carica di energia elettrica.
Nelle rarissime sere in cui siamo tutti liberi dai turni, evento più unico che raro, ci lanciamo fuori, a zonzo tra pub e coffeeshop, per poi infiltrarci nelle sale comuni degli ostelli più borderline e loschi della città, a sfidare viaggiatori ed expat a partite di biliardo e freccette, o semplicemente per accasciarci su qualche divanetto a contemplare la vita che si svolge. Rientriamo solo quando i primi raggi di luce spuntano all’orizzonte. Ma non prima di aver fatto tappa in uno degli innumerevoli fast food h24, perfettamente attrezzati per lo stile di vita notturno della capitale olandese, e aver dato spettacolo ai lavoratori mattinieri ancora mezzi addormentati sulle seggioline dei traghetti.
Lavorare come security in uno degli ostelli più grandi di Amsterdam è sicuramente un bel modo per essere testimone di tutte le sfumature che offre questa parte di mondo.
Quasi sempre su turni di notte, la mia mansione consiste principalmente nel gestire le classiche situazioni quotidiane: persone sotto psichedelici che cercano di mangiare le foglie delle piante finte nell’atrio, gruppi di inglesi e irlandesi ubriachi che si prendono a mazzate usando gli sportelli degli armadietti appena distrutti, e senzatetto che, a una certa ora, irrompono per cercare di dormire qualche ora su uno dei divanetti delle aree comuni. Quando la situazione è sotto controllo invece me ne sto nella caffetteria della reception, a servire pizze e panini surgelati ai reduci sopravvissuti alle scorribande notturne e ad esercitarmi con la latte art sui cappuccini, la mia nuova ossessione.
Il tempo qui sembra scorrere in modo diverso, quasi disconnesso dalle strutture convenzionali di lavoro e vita quotidiana. Non ci sono più weekend né giorni della settimana, e i confini tra lavoro e svago sembrano dissolversi. Non esiste ieri, né domani, solo un presente che si espande senza fine. Una bolla temporale dove il quotidiano e l’eccezionale si mescolano indistinguibilmente, e l'unico pensiero che occupa la mente è vivere il momento con la massima intensità, senza lasciare spazio a nient’altro.
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