#2 - A NEW BEGINNING
- Flâneur
- Feb 4
- 8 min read
Updated: Apr 1

Apro gli occhi, è quasi mezzogiorno. «Cazzo!» Esclamo alzandomi di scatto.
Solo poche ore prima rientravo dopo una notte brava all’Air, uno dei locali più famosi della capitale olandese, insieme ad alcune persone random conosciute in ostello. Tram e metro non sono operativi durante la notte, c’è soltanto qualche bus ma abbiamo optato per tornare a piedi, in quelle condizioni il freddo gelido di fine gennaio non ci spaventava affatto.
Se Amsterdam è uno di quei luoghi che sembra uscito da una fiaba, di notte diventa ancora più magica. Le casette strette e alte con i finestroni bianchi si rispecchiano sull’acqua dei canali, illuminate dalle luci dei lampioni in stile retrò che costeggiano le stradine in mattoncini rossi. Le stelle brillano nel cielo limpido mentre coppiette e gruppi di amici seduti sulle rive dei navigli fumano e contemplano la vita. Tutto sembra scorrere più lentamente, anche in questa città che durante la notte cambia faccia e si illumina di rosso.
Ho rimesso piede in ostello poco prima delle sei, con il profumo di caffè e dolci provenire dalla sala colazioni e la luce del primo sole che entrava dalla finestrella in fondo alla camera.
La mia idea era quella di svegliarmi ad un orario decente per tentare di essere produttivo, dopo quasi dieci giorni non ho ancora trovato nè un lavoro, nè un posto dove stare.
Scendo dal letto di corsa, la solita ragazza delle pulizie sta sistemando i letti delle persone in partenza, le do il buongiorno con un leggero disagio e con uno scatto mi infilo in bagno. Cinque minuti dopo sono già fuori. Entro all’Albert Heijn dell’angolo, il supermercato olandese per eccellenza a poche centinaia di metri dall’ostello, per la solita colazione budget: una ciabattina spugnosa, un pacchetto di salamini di dubbia qualità e un caffè americano d’asporto, che mangio su una panchina affacciata su un canale mentre il mio cervello riprende a funzionare. Salgo sul mio nuovo bolide, una bicicletta usata con un’enorme sella marrone ma super confortevole comprata giorni prima da uno dei tantissimi rivenditori di bici usate, ed inizio a circolare per le viette e i ponticelli della città, cercando ispirazione ed entrando in ogni locale e negozio con il cartello “WE ARE HIRING” esposto.
Trovare lavoro ad Amsterdam è piuttosto semplice, quasi tutti cercano qualcuno, e gli stipendi non sono per niente male, non si può però dire lo stesso del trovare casa. Una stanza privata in un appartamento condiviso è introvabile sotto ai 750 euro al mese, ma le richieste sono tantissime, troppe in confronto agli annunci, e quando si è fortunati a riuscire a scrivere in tempo al proprietario, si spera di esserlo altrettanto per essere selezionati.
La prospettiva non è rassicurante ma qualcosa nell’aria mi dice di fidarmi.
Il sole inizia a tramontare, salgo per un pelo sul traghettino che attraversa il corso d’acqua che separa il centro città da Amsterdam Noord, il quartiere dove si trova l’ostello.
Ci sono almeno un paio di centinaia di persone, siamo stretti come sardine, e quasi tutti sono in bici. «Non ho mai visto così tante persone in bicicletta tutte assieme, è qualcosa di assurdo» Penso divertito.
Ho sempre amato la biciletta, si va più veloci che a piedi, ma non costa nulla. Fa bene, sia a te stesso che a madre natura, e poi penso sia un meraviglioso modo di esplorare una città o di muoversi per fare attività fisica. Il fatto che la bicicletta sia profondamente radicata nella cultura olandese è qualcosa di affascinante. Solo nella capitale ci sono più di 500 chilometri di piste ciclabili ed il quantitativo di bici è maggiore del numero di abitanti. La maggior parte delle persone la utilizza quotidianamente, indipendentemente dal tempo atmosferico. Ci sono bici per ogni uso e gusto, dalle bici-family per le gite domenicali, alle bici-frigo che riforniscono locali e ristoranti, fino alle bici-bus che portano i bambini a scuola. Nelle ore di punta pedalare per le stradine rosse può addirittura diventare un’impresa degna di coraggio.
Nel giro di qualche minuto sono sulla riva opposta. Scendo ed inizia a piovere a dirotto. «Appena in tempo» Penso legando il mio mezzo alla ringhiera-parcheggio di fronte alla mia pseudo casa.
Faccio per entrare, la porta si apre ed esce G. È un ragazzo siciliano magrissimo, dai capelli ricci, pazzo scatenato ma dal cuore enorme. Ha qualche anno in meno di me, ha iniziato a lavorare nella cucina del ristorante dell’ostello poche settimane fa. L’ho conosciuto qualche giorno prima, a breve inizierà il turno e mi offre una sigaretta. Poco dopo arriva anche R, assieme ad una ragazza che mi sembra di aver intravisto nei giorni precedenti. R è un ragazzo irlandese dalla stazza di un giocatore di football americano, anche lui lavora in ostello ma come security, prevalentemente durante la notte. La ragazza si presenta e scopro che è italiana e proveniente dalla mia stessa regione. Anche lei è qui per cercare casa e lavoro, è arrivata qualche giorno dopo di me nelle mie stesse condizioni.
Non fa in tempo a passare qualche ora che ci ritroviamo a festeggiare la vita nel bar del seminterrato dell’ostello a suon di boccali di birra che si baciano, espressioni italiane poco formali che echeggiano attirando l’attenzione degli altri viaggiatori, e sigarette verdissime che passano da una mano all’altra.
La prima di tantissime serate così, l’inizio di una connessione che cambierà per sempre il corso del mio futuro.
G finisce il turno in cucina e ci raggiunge pieno di energia, insieme a J.
J è un ragazzo filippino, ma cresciuto a Messina. Lui e G si sono conosciuti qualche anno prima durante una stagione lavorativa in un ristorante alle isole Eolie e da quel momento si è creata tra di loro una connessione profondissima, una meravigliosa amicizia. Sono partiti per Amsterdam con l’idea di spaccarsi per qualche giorno, per poi spostarsi a Berlino dove cercare casa e lavoro, ma una volta giunti nei Paesi Bassi non se ne sono più andati.
G e R ci raccontano che lavorando nell’ostello alloggiano in una camera staff, che gli è stata data a disposizione per i primi tre mesi del contratto, J, invece non ha ancora trovato un posto dove stare, fa la staffetta da una struttura temporanea all’altra mentre lavora in un bar vicino a Vondelpark, il parco più famoso di tutta Amsterdam, dall’altra parte della città.
La serata è memorabile. Prima di andare a dormire ci diamo appuntamento per il giorno sucessivo, stesso posto, stessa ora.
È un nuovo giorno, mi alzo, questa volta ad un orario più consono, e il cielo fuori è incazzatissimo. Rovescia secchi di acqua a non finire, è impossibile anche soltanto uscire a fumare una sigaretta. Me ne rimango coricato a letto mandando e-mail, domande di lavoro e a cercare un qualsiasi tipo di tetto da mettere sopra la testa fino a quando non mi esce il fumo dalle orecchie, segno che è arrivata l’ora di staccare e mangiare qualcosa.
Mi infilo nella cucina comune, che assomiglia più ad un campo di battaglia che ad altro, e mi metto all’opera. Pasta con bacon a striscioline dell’Albert Heijn e margarina, il massimo di italianità che mi posso permettere in Olanda con un futuro incerto davanti. Mentre cucino stranamente non c’è nessuno, soltanto una ragazza asiatica con la divisa dell’ostello che di tanto in tanto entra ed apre compulsivamente i vari frigoriferi.
«Hai perso del cibo?» Chiedo rompendo il silenzio.
«No, pulisco i frigo. Guardo se qualcuno ha lasciato qualcosa, c’è la data del check-out sopra ai prodotti» Mi dice in inglese, con un accento strano, indubbiamente non asiatico, che mi manda leggermente in confusione.
«Di dove sei?» Le chiedo con curiosità.
«Spagna» Mi risponde, facendomi andare ancora più in tilt.
«Ma… originariamente? Scusami non so come…»
«Sono nata in Cina ma sono stata adottata da piccola. Sono cresciuta in Spagna» Dice sorridendo, interrompendo la mia confusione-imbarazzo.
«Ah… wow! Ora capisco»
«E tu?»
«Italia, non si vede?» Rispondo indicando la mia maestosa creazione appena impiattata.
«Oh Italiano! Anche una mia collega-compagna di stanza è Italiana!» Mi risponde, uscendo dalla cucina con delle stoviglie sporche, salutandomi con la mano e con il sorriso.
«Mmh, carina» Penso, e ripenso a ciò che mi è stato detto da G e R la sera prima a proposito delle camere staff. Un’idea inizia a farsi strada tra i miei neuroni.
Esco dalla cucina con la mia pseudo pasta e vedo che c’è N, la ragazza italiana arrivata da qualche giorno come me, seduta qualche tavolo più in la, completamente immersa nel suo computer dalla cover cosparsa di adesivi colorati.
«Ci vorrebbe un miracolo, non mi risponde quasi nessuno, mi sa che a breve inizierò a guardare case al di fuori di Amsterdam, magari si trova qualcosa anche a prezzi meno proibitivi» Mi dice appena mi avvicino.
«Ma se facciamo domanda qui? Magari ci danno l’alloggio come a G, R e gli altri dipendenti, ho sentito che ce ne sono diversi, non si sa mai, io pensavo di inviare il curriculum proprio adesso» Rispondo.
«Certo, ci avevo già pensato, ma G ha detto che il numero di posti è limitato, la sua stanza è piena, e sulla pagina web dell’ostello c’è scritto che cercano soltanto un receptionist, e nemmeno se ci mettiamo insieme io e te riusciamo ad avere un livello di inglese sufficiente per quella posizione» Mi risponde ridendo.
Scoppio a ridere, N non ha tutti i torti, ma sono determinato, e voglio lo stesso fare un tentativo.
In quel momento passa di li R, e così prendo la palla al balzo. Lo chiamo e gli chiedo se può in qualche modo far arrivare i nostri curriculum a qualche manager. Sembra quasi divertito da quella richiesta ma nel giro di pochi minuti i nostri curriculum sono nella casella di posta del direttore.
La stessa sera siamo nuovamente sui divanetti del bar nel seminterrato, la birra scontata grazie ai prezzi dipendente abusivi scorre a fiumi, e tutti i problemi sembrano momentaneamente sparire.
Siamo appena fuori dall’entrata, a fumare qualche sigaretta normale e qualche altra farcita, quando R esce in divisa da security, con in mano il suo pseudo irish coffee, un espresso mescolato a mezzo litro di Jameson in un bicchiere stile Fanta del Mc Donald’s, ed una canna in bocca. Ha appena iniziato il turno ma sembra particolarmente nervoso. Ci chiede di spostarci per un momento in disparte assieme a lui.
«Ragazzi, sono stufo. Non ce la faccio più a fare turni di notte e a stare qui con la pioggia e il freddo, è lo stesso tempo che c’è in Irlanda. Voglio mare e spiagge, voglio sole e calore. Ve la faccio breve, ho trovato un Flixbus che parte domani mattina presto, in poco più di 20 ore sono a Barcelona»
Non sappiamo se credergli o meno, sembra impazzito, non sappiamo nemmeno cosa rispondergli. C’è chi gli dice che è un pazzo, chi che senza un minimo di spagnolo è impossibile sopravvivere… fino a quando J, che ha un debole per lui, ed un debole ancora più grande per le avventure, non interrompe tutti quanti.
«Se tu parti io vengo con te»
È serio, entrambi lo sono.
Tutto si ferma per un momento. G, con gli occhi lucidi si gira verso J, si avvicinano, le fronti si toccano.
«Fai ciò che ti rende felice. Se tu sei felice lo sono anche io»
Inizia a nevicare, sembra di essere in un film.
È una nuova alba, lo stesso cielo grigio e minaccioso, ma di R e J non c’è più traccia. G è senza amico, il bar vicino a Vondelpark è senza barista, e il nostro ostello è senza security. Pranziamo in compagnia, in silenzio, ancora increduli per quanto successo la sera prima. Sono al lavandino della cucina comune cercando di scrostare i resti della sottospecie di ragù cucinato poco prima quando io e N veniamo chiamati alla reception.
Davanti ai nostri occhi, due proposte di lavoro.
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